giovedì 31 marzo 2016

Da sotto la ruggine

Via la ruggine

Una penna in mano mi riporta in contatto con me stesso. Sono talmente poco abituato a tenerla che ormai sono più lento a scrivere che a digitare. Ma penso faccia anche bene rallentare, ogni tanto, anche se spesso la testa o la pancia vanno più veloce delle mani.
Però alla fine è un po' come andare in bici, non è una cosa che perdi per sempre. Sta là come un cane che ti aspetta a casa in cuccia e ti fa le feste quando torni.
Ed è piacevole anche il colore che comincia a farsi strada da sotto la ruggine.

sabato 17 gennaio 2015

78 giri

Di preciso non mi ricordo esattamente quando ho visto per la prima volta "Accordi e disaccordi" ("Sweet and Lowdown") di Woody Allen. Magistrale interpretazione di Sean Penn. Credo fosse il 2001 o il 2002, ma devo dire che, a parte il fatto che lo trovo un film davvero bello e a suo modo poetico, probabilmente avrei faticato all'epoca a poter venire a conoscenza di Django Reinhardt.
Diciamoci la verità, io il jazz facevo, e faccio tuttora, un po' di fatica ad ascoltarlo, soprattutto perché i jazzisti sono troppe volte musicisti un po' troppo boriosi e autoriferiti (anche se mi rendo conto di non conoscere per niente quel mondo e di avere qualche pregiudizio).
Ma Django non era un musicista jazz.
Django era musica, punto e fine.
Potrei parlare e scrivere un sacco su di lui, di quanto incredibile sia che una persona con due dita della mano sinistra paralizzate possa essere riuscito a suonare così.
Ma l'unica cosa giusta da fare è stare zitti ed ascoltare, dato che, per nostra fortuna, 80 anni fa esistevano già i 78 giri.

lunedì 29 dicembre 2014

Spensierato

Ci sono album e gruppi che, in passato, ho ascoltato in maniera ossessiva. Sono tanti. Penso che sia anche normale vivere un po' le cose a fasi, a periodi. Quando avevo ancora le musicassette alcune arrivavo a consumarle fino a renderle quasi inascoltabili.
Molti di questi gruppi e album poi finiscono nel dimenticatoio, anche se devo dire che da quando sono stati inventati gli mp3 questo destino è stato a risparmiato a molti dischi. Altri invece hanno qualcosa di magico che ti fa venire voglia di ascoltarli sempre, anche a distanza di anni.
A me capita spesso con artisti e dischi degli anni '90, e non è un caso. Quelli per me sono stati anni piuttosto spensierati: cominciavo ad avere un po' di consapevolezza ma non avevo ancora i grattacapi che la vita adulta sa presentarti. É un aspetto che probabilmente, pur avendolo gustato e vissuto appieno, col senno di poi apprezzo ancora di più. Sono stati proprio degli anni magici.
Ho cominciato a suonare, ad aver voglia di imparare, a fare esperienze.
E, anche se con qualche buco, ricordo che, da quando ho scoperto gli Ugly Kid Joe fin ad oggi, non ho mai smesso di ascoltarli volentieri. In quei pomeriggi da liceale, che a volte passavo con videocassette semivuote in canna e il telecomando del videoregistratore in mano, pronto a fissare su nastro le chicche trasmesse da MTV (quando ancora non era MTV Italia e tutti i vj parlavano inglese), mi sono imbattuto nel video di "Everything about you".
Avevo già cominciato all'epoca a spaziare molto in termini di ascolti, ma trovare una band così scanzonata che suonava un genere a me tanto affine mi ha fatto affezionare subito a quei 5 cazzoni.
Mi vien da sorridere al ricordo di quel concerto di Natale in cui un gruppo di amici, che comunque suonava musica propria, mi invitò a cantare con loro proprio quel pezzo di cui avevano deciso di fare una cover (eccezione, all'epoca in cui le tribute band fortunatamente non avevano ancora fagocitato la scena live italiana e anche i gruppetti locali avevano qualcosa da esprimere).
E oggi quando ascolto gli Ugly Kid Joe mi rivedo così, sedicenne, e mi piace sapere di non aver ancora perso del tutto la spensieratezza, la curiosità e la voglia di sorridere.

lunedì 15 dicembre 2014

Ricordi texani

Una delle cose che visivamente ricordo di più del mio mese vissuto in Texas, al Sonic Ranch Studio, sono i colori. L'ocra della terra polverosa e il celeste, quasi sempre privo di nuvole, del cielo.
Potrei averle associate musicalmente, quelle tonalità, a molte canzoni o artisti più pertinenti (Stevie Ray Vaughan o i ZZ-Top, giusto per citare i primi che vengono in mente) e invece, direi abbastanza per caso, si sono incollate per sempre all'album "Brothers in Arms" dei Devil in Me e in particolare al brano "Only God".
Li avevo trovati per caso su YouTube e mi ero messo ad ascoltare quel disco a ciclo continuo.
Sono state settimane meravigliose, un'esperienza irripetibile (credo) a livello personale e musicale, ma sono anche capitate in un periodo di transizione della mia vita. Una linea di demarcazione come quella rete di confine col Messico che costeggiavo durante le frequenti passeggiate, immerso in me stesso e con questo gruppo hardcore portoghese come colonna sonora.
Ho portato a casa tanto da là e mi piace pensare di aver lasciato qualcosa di me anche a chi ho incontrato.
Un'altra delle cose che è stata splendida per me, che ogni anno divento sempre più insofferente nei confronti del freddo, è stata trovarmi al caldo nei mesi invernali. Quel sole, come sempre, mi ha dato la serenità e la pace di cui avevo bisogno per affrontare ciò che mi sarebbe poi capitato.

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domenica 14 dicembre 2014

Il tempo che non ho

Troppe cose da fare e troppo poco tempo.
La cosa brutta è che molte delle cose da fare sono doveri, e che ancora più spesso sono doveri di un modo di vivere in cui sono stato cresciuto. In cui siamo stati cresciuti un po' tutti.
Questa è la nostra vita e, come diceva Palahniuk in Fight Club, sta finendo un minuto alla volta. E ce ne dimentichiamo troppo spesso. La sprechiamo. Non prestiamo attenzione alle cose belle che abbiamo davanti agli occhi. Sempre. Tutta la vita.
Poi succede che ti svegli, guardi il telefono e scopri che Wood è morto.
E pensi alla sua Stratocaster bianca rimasta senza padrone.
A tutti quelli che hanno avuto la fortuna di incontrarlo. Di conoscerlo.
E pensi che vorresti dedicargli una canzone.
E scegli "Don't follow" degli Alice in Chains.
E non importano tutte le parole che, in qualsiasi altro momento, dedicheresti a questa canzone, a Jerry Cantrell e a Layne Staley e alla loro musica straordinaria.
Ascolti e basta.

Don't Follow su YouTube
Alice in Chains su Wikipedia

domenica 7 dicembre 2014

Donne

Qualche volta mi viene da chiedermi come dev’essere essere donna.
Soprattutto essere donna in una società che cerca di scrollarsi, molto lentamente, millenni di maschilismo. E quanto diverso, probabilmente in meglio, sarebbe un mondo dove le donne non fossero state represse, castrate e sottomesse, sia fisicamente che psicologicamente per così tanto tempo.
Questa riflessione mi è partita in più d’una occasione ascoltando musica cantata da voci femminili.
La cosa bella, soprattutto nella musica pop dove le donne sono riuscite a ritagliarsi molto più spazio che in altri generi, è che in questa forma d’arte (ma non solo) le donne riescono a farci intravedere un mondo che noi uomini difficilmente riusciremo mai a comprendere appieno. Un universo che sa essere fatto di sensibilità e grazia ma che spesso non ha niente da invidiare a quelle che nell’immaginario collettivo dovrebbero essere caratteristiche prevalentemente maschili: forza, energia, coraggio.
Uno degli esempi più emblematici per quanto mi riguarda è Pink, al secolo Alecia Beth Moore, artista che al primo ascolto distratto avevo, detto ammetterlo, un po’ snobbato, ancora ai tempi del suo secondo album Missudaztood. È stato solo nel 2008, causa anche il mio sporadico utilizzo della radio, che mi è tornata nelle orecchie e mi è penetrata nel cervello col tormentone “So What!”.
Il pezzo è molto rappresentativo della stoffa della ragazza (penso che potrò chiamarla sempre così, dato che ha qualche anno meno di me) ma è solo la punta di un iceberg incredibile e multicolore.
Pink è una showgirl incredibile, una musicista talentuosa e, per lo meno per quel poco che conosco l’universo pop, una delle poche cantanti che mi sembrano davvero genuine in una scena musicale viziata purtroppo dal music business.
Pur avendo, soprattutto gli ultimi album che conosco meglio, dei pezzi musicalmente bellissimi, singoli bomba e una invidiabile varietà, sono i suoi testi che mi hanno conquistato. Sono testi di una donna matura, di una persona che sa esprimere personalità, grinta, carattere e che non ha paura di mettersi in mostra e di mettersi in gioco.
Nella sua musica puoi capire cosa vuol dire aver lottato, pensato, riso e pianto. Cosa vuol dire vivere, insomma.

Pink su Wikipedia
Video di So What su YouTube

giovedì 27 novembre 2014

Miscugli

Il mio primo incontro ravvicinato del terzo tipo con la musica rap l'ho avuto a 12 anni quando l'allora fidanzato di mia sorella mi ha prestato la musicassetta "Deejay Rap", compilation prodotta da Radio Deejay.
La compilation conteneva l'imbarazzante "The rappers" di Jovanotti, che nell'88 aveva esordito con il suo primo album dove cantava in inglese. Imbarazzante più che altro per me perché ricordo che il primo Jovanotti mi aveva preso strabene, nonostante dovesse musicalmente ancora cominciare a produrre qualcosa di decente. Quell'album era un patetico scimmiottamento di un genere che in Italia all'epoca non si sapeva ancora cosa fosse.
La cassetta comunque conteneva tra le altre tracce anche "No Sleep Till Brooklyn" dei Beastie Boys.
Quello è stato un momento della mia vita in cui, anche se forse ancora inconsciamente, ho cominciato a capire che il mondo non è fatto di bianchi e di neri, ma contiene anche tutte le gradazioni possibili e immaginabili da un estremo all'altro.
Non posso certo dire che i Beastie Boys fossero in prossimità della loro maturità artistica. Inoltre ero ancora troppo giovane e stavo per entrare in una delle mie ultime monomanie musicali (quella per gli Iron Maiden), ma il seme del buonsenso si era conficcato nel mio cervello nell'attesa di poter germogliare.
Ignoravo all'epoca il significato della parola crossover ma quella canzone parlava chiaro: mescolare, confrontare, sperimentare è una strada che nella vita non ci si deve precludere. I fanatismi, gli estremismi, gli -ismi solitamente non portano a nient'altro che alla fossilizzazione e alla sterilità mentale e morale. Dopo di allora, fortunatamente, ho avuto modo di ascoltare molta musica dove il confine tra due o più generi veniva cancellato, disintegrato, spazzato via a forza di buone idee e pian piano ho cominciato ad aprire la mente e le orecchie.
Ignoravo anche che l'assolo di chitarra fosse opera di Kerry King degli Slayer e che solo pochi anni prima i Beastie Boys fossero nati come band hardcore nell'allora nascente scena newyorkese (anche se scoprirlo molti anni dopo mi è sembrato come trovare l'ultima tessera di un immaginario puzzle) ma col senno di poi posso dire che se nessuno avesse un po' più di coraggio di mettersi in gioco e di provare, magari anche a forza all'inizio, di prendere un po' di bianco e un po' di nero, e di sporcarsi le mani finché non diventano grigie il mondo sarebbe già finito da un pezzo.

i Beastie Boys su Wikipedia
No Sleep Till Brooklyn su YouTube